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domenica 21 luglio 2019

LEGGENDE METROPOLITANE: IL MAESTRO DI KUNG FU E LA CANTINA VINICOLA!

Da un po di anni è divenuta materia di studio il fenomeno delle leggende metropolitane. Cioè quell’attitudine che scaturisce in alcune persone di far proprie, o di attribuire a persone loro vicine, storie che hanno la capacità di suscitare un certo stupore. Ne consegue un effetto a catena, dove chi a sua volta ascolta la storia, in emulazione a chi gliel’ha raccontata, si rende testimone o detentore di fatti riconducibili a esperienze che non ha mai vissuto.
Un esempio di leggenda metropolitana, che forse è anche tra le più famose, è quella del motociclista, che riverso a terra perché ha appena avuto un incidente, viene soccorso da alcuni passanti. L’uomo con ancora il casco in testa, da segno di stare bene ed interagisce con i soccorritori. Giunto il momento di togliersi il casco, il motociclista  nell’atto di farlo improvvisamente muore, questo perché l’incidente gli ha staccato la calotta cranica che saldamente era ancora attaccata al resto della testa. Lo sfilare il copricapo protettivo  procurava il distacco tra le due parti e la conseguente morte.
Questo, come detto, è solo un esempio, perché di storie similari che non hanno nessun fondamento nella realtà ce ne sono a bizzeffe e tutte in qualche modo hanno condizionato l’immaginario collettivo. Alcune di queste leggende metropolitane hanno avuto il potere di generare delle vere e proprie psicosi collettive, come quella che si diffuse qualche anno fa a Roma (non ricordo bene la data, ma avvenne tra il 1999 e il 2001) e che porto le autorità a fare dei comunicati ufficiali dove veniva detto che la notizia che si era propagata tra popolazione cittadina (con una velocità impressionante), non aveva nessun fondamento reale. Cosa successe? Inizio a circolare, inizialmente, la storia che un bambino mentre aspettava sulla banchina la metropolitana vedeva cadere dalle tasche di un uomo di origine nord africana, una mazzetta di soldi. Il bambino prontamente li raccoglieva e li porgeva al legittimo proprietario. L’uomo visibilmente sorpreso per riconoscenza gli confidava “Per ricambiare la tua onesta, nel ringraziarti ti metto in guardia… non prendere la metropolitana sabato!” A quel punto della storia arrivava il treno e i due entravano in vagoni diversi disperdendosi tra la moltitudine di passeggeri. Da subito il racconto iniziò ad avere diverse varianti, i soldi in alcuni casi divennero le chiavi o altri oggetti che generalmente si tengono in tasca. L’uomo, che da prima era un generico nord africano, divenne un egiziano. Ed ovviamente la storia, nel passa parola, iniziò ad evolversi a tal punto che la frase detta dal fantomatico uomo non finiva più con “…non prendere la metropolitana!” ma con “…non prendere la metropolitana perché ci sarà un attentato!” (cosa che era già implicita nella prima versione). Ovviamente il sabato in questione, oltre al crollo dei passeggeri della metropolitana dovuto all’effetto paura, non accadde nulla. La cosa interessante è che più persone iniziarono a raccontare di come la cosa l’avessero vissuta in prima persona, e non solo i bambini che potevano identificarsi con il protagonista della storia, ma uomini e donne adulte, fino agli impiegati della Metropolitana che raccontavano di aver assistito alla scena mentre erano in servizio. Si dice anche che in diversi andarono a sporgere regolare denuncia perché asserivano che il fatto era successo a loro in prima persona. Tutti si erano resi protagonisti di una storia che non solo non gli apparteneva, ma che non si era neanche mai verificata. Ma che era così coerente nei suoi dettagli che non poteva non essere vera.
Premesso quanto sopra devo dire che anche io nel mio piccolo mi sono ritrovato negli anni ad incappare in due leggende metropolitane che periodicamente mi sono state riproposte da persone che stimavo, finché purtroppo non le ho sentite rendersi protagoniste di queste storie mai vissute.

Il maestro di Kung Fu 
La prima ha origini molto lontane, nel senso che la sento raccontare fin da quando ero piccolo e nel tempo mi è stata riproposta periodicamente con delle piccole varianti. Avrò avuto circa 13 anni la prima volta che mi capitò di ascoltarla ed a quei tempi ero, come tutti quelli della mia generazione, un fan sfegatato di Bruce Lee, passione che ovviamente condividevo con i miei amici. Uno di questi, più intraprendente degli altri, decise di iscriversi in una palestra di Kung Fu. I racconti che ci faceva di quell'ambiente per noi del tutto nuovo erano estremamente affascinanti. Ci parlava di praticanti di arti marziali che venivano da altre palestre a sfidare il suo maestro, e puntualmente questi faceva combattere al suo posto il suo allievo migliore, che manco a dirlo vinceva ogni sfida. Oppure ci raccontava con dovizia di dettagli le mirabolanti imprese del maestro del suo maestro che era nientepopodimeno un monaco del tempio di Shaolin. Ed è proprio costui è il protagonista della leggenda che vi sto per raccontare. Il mio amico, mi disse che i suoi compagni di palestra gli raccontarono che appena giunto in Italia, questo monaco Shaolin, o pseudo tale, un giorno si ritrovò ad entrare in un bar, ed alcune persone al suo interno vedendo questo cinese un po stralunato e disorientato iniziarono a prenderlo in giro. La cosa degerò a tal punto che oltre agli insulti arrivarono anche le spinte, lui manco a dirlo reagì ed a forza di calci e pugni li rimise al loro posto. Uno di questi stufo di continuare a prendere botte su botte estrasse un pistola e gliela puntò contro. Il maestro di Kung Fu non si scompose per niente e rivolgendosi all'uomo armato disse "Sappi che se premi il grilletto io di sicuro morirò, ma tu morirai appresso a me" ad intendere che lui ovviamente non poteva essere così veloce da evitare il proiettile, ma lo era abbastanza da colpire, prima di spirare l'ultimo respiro, il suo aggressore con un colpo mortale. L'uomo armato, sentite queste parole si intimorì ed abbassò la pistola lasciando andare via il monaco. Da quel giorno più volte mi è capitato di ascoltare la riproposizione rivista e corretta di questo episodio, in special modo da alcuni di quegli amici che si erano iscritti ad un corso di arti marziali, ovviamente la nazionalità del maestro cambiava in base all'arte marziale praticata. Successe anche che un amico praticante di Karate, raccontandomi la sua versione con protagonista il suo maestro di origine giapponese, si arrabbiò all'inverosimile quando gli feci presente che quello che mi stava dicendo l'avevo già sentito in tante altre versioni diverse. Da quel giorno decisi di non mettere più in dubbio queste opinabili verità.

La cantina vinicola in Sicilia
Devo essere sincero, la leggenda metropolitana che vi sto per raccontare di fatto l'ho sentita solo due volte. Ma in entrambi i casi a raccontarmela sono stati due insospettabili, ovvero persone di cui avevo apprezzato la spiccata razionalità, ed invece questa storia che le accomuna mi ha permesso di comprendere quanto il far proprie questo tipo di avventure sia trasversale. Nessuno ne è immune. La tendenza di appropriarsi di esperienze altrui che sono caratterizzate da situazioni che secondo l'interlocutore non possono accadere a tutti, lo porta erroneamente a convincersi che nessun altro possa averle già sentite.
La storia si svolge in Sicilia, in un epoca dove ancora non c'era come oggi l'uso diffuso dei gps, perciò mi riferisco ad un periodo intorno a 15 o 20 anni fa. Entrambi gli interlocutori mi hanno raccontato che mentre viaggiavano in auto, cartina alla mano, alla ricerca di una cantina vinicola che gli era stata consigliata durante la vacanza sull'isola furono costretti a fermarsi ad un bivio in aperta campagna. Purtroppo la sosta fu causata dal fatto che le indicazioni riportate sulla mappa non erano del tutto chiare. Mentre decidevano cosa fare, dispersi in mezzo al nulla, vedono arrivare un auto. l'uomo alla guida si ferma e chiede se serve aiuto, loro rispondono che cercano questo paese (di cui non ricordo il nome nrd) dove c'era questa cantina. "Siete proprio sicuri che cercate questo posto?" l'uomo inizia così a fare una serie di domande come se non credesse alla loro versione e in modo non del tutto diretto cerca di farli desistere nel recarsi in questa cantina. Alla fine, vista la loro determinazione si offre accompagnarli, però solo a patto che lui sia l'unico a parlare. Giunti sul posto, l'uomo spiega alle persone che gestiscono l'attività commerciale il perché della visita di questi sconosciuti. Comprate alcune bottiglie di vino, in un ambiente tutt'altro che rilassato i miei amici si recano alle loro autovetture sempre accompagnati dal tizio che gli aveva prestato aiuto, che salutandoli li congeda con queste parole "Adesso vi consiglio di lasciare il paese, tanto non c'è nulla di turistico da vedere... voi non avete idea di chi è la cantina vinicola, per fortuna che avete incontrato me, perché avete rischiato grosso!". Nel racconto, che in entrambi i casi e quasi del tutto identico, l'uomo che li aiuta lascia ad intendere che, capendo la loro buonafede, si esposto per salvarli da una brutta avventura, che mai viene esplicata direttamente ma fatta sottintendere tra le righe.

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